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"Ho letto e riletto il saggio di Maria Teresa Papa. Non riuscivo ad afferrarne il senso. Gerusalemme, senza ombra di dubbio, con le sue contraddizioni, i suoi bellissimi colori naturali, i rumori del cielo e della terra, le cacofonie e ancora le sue strade e i suoi vicoli bagnati dalla pioggia e dal sole. Un'onda vivente di una umanità trascinante, in un mare di vite diverse, con suoni diversi e storie venute da mondi e ritmi inconosciuti. Diversità coniugate tutte a rispetto dell'alterità sempre e comunque, snocciolate nella musica fissa delle festività religiose ebraiche. Ma non era sicuramente solo la pedissequa descrizione di luoghi e viaggi ma ancora qualcos'altro. Qualcosa di più sottile e dolentemente ferito. Nel tempo trascorso, nella distanza dal suo occidente, nella aritmicità di un caotico ed eclettico quotidiano, prendere lezioni di lingua ebraica ha consentito all'autrice la vibrazione giusta per la comprensione molecolare di quel lembo polveroso di terra." (dalla prefazione di Grazia Piscopo)