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Con queste poesie in lingua francese, Rilke torna a "dire le cose", a tentare una parola che sappia assicurare la realtà più umile e quotidiana in quello spazio interiore conquistato con le Duineser Elegien. Rilke realizza così il compito di salvare le cose nella parola, e lo fa attraverso la lingua 'straniera' che gli permette, con i suoni posti in primo piano, con i vocaboli sottratti alla meccanicità dell'abitudine, quasi di dar voce alle cose stesse. L'uso del francese rivela la totale assimilazione della lingua al 'meccanismo' della poesia; essa diviene palesemente la condizione della poesia stessa, oltre che la sua occasione. La celebrazione immediata della realtà (un quadro, un nastrino, il pane quotidiano...) trova nella mediazione della lingua la sua unica e irripetibile possibilità.