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Legate una all'altra da continui rimandi, le poesie di INRI compongono un unico ciclo poetico-narrativo che intreccia i sublimi paesaggi del Cile alla barbarie dell'animo umano. Protagonista di questa melodia che commuove e ipnotizza è la moltitudine di corpi senza nome cui è stato negato un ultimo abbraccio, un ultimo saluto, un ultimo sogno. I desaparecidos della dittatura sono ora pasture per pesci, fiocchi di neve, conigli feriti, fantasmi abbandonati in una nave inclinata nel deserto di Atacama. Sono loro i resti di una gioventù perduta, di speranze infrante. Sono come Cristo. E anche in queste pagine la caduta vive nel contrasto con l'ascesa, la morte in quello con la resurrezione, l'atrocità in quello con la dolcezza. Dolcezza delle madri come Viviana, che coccola i pesci carnivori perché nelle loro pance c'è il figlio. E dolcezza della natura, che si fa carico della violenza umana e culla quelle spoglie senza vita. Di questa folla di scomparsi si colgono soltanto alcuni nomi: Bruno, Susana, Odette, María, Rubén. Gli altri sono destinati all'oblio, a meno che l'arte non li riscatti e dia loro una salvezza.