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Uno Shakespeare così non si era davvero mai letto. Trasformare la lingua del Bardo nel napoletano nobile è operazione delicata. Specie se non si vuole scivolare nel folklore ma conservare, dei sonetti scespiriani, l'impianto metrico mirabile e l'intensità poetica. Dario Iacobelli si impadronisce del classico e gli dà una veste nuova, a volte sanguigna, altre eversiva, rispettosa dell'originale proprio quando sembra più tradirlo. D'altra parte ogni buona traduzione è, prima di tutto, un tradimento consumato a colpi di genio ed equilibrio: e se tradire, alla lettera, sta per tramandare, ecco che le liriche arrivano a noi rigenerate, dimostrando che l'arte si fa beffe di secoli, latitudini e idiomi. Con un ricordo di Beppe Barra.