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Il volume mette in campo una specifica contaminazione di due fenomeni, sia per il particolare percorso del suo autore che per la sua natura di testo iconico, nel quale parola e immagine sono posti in relazione. L'attività di Zille, infatti, si distende sin dagli anni Sessanta sul doppio filone della comunicazione pubblicitaria e della ricerca artistica, fino ad approdare a questo lavoro che prende origine dal rito del solco presso il Comune di Castel Morrone. Da un lato la dimensione antropologica della tradizione, che si nutre di visualità; dall'altro la geometria ingegneristica legata a forme e volumi che cogliamo con la vista e che si articola nel linguaggio, a sua volta fondativo delle società umane oggetto dell'antropologia. Le parole, però, non sono mere didascalie delle immagini; piuttosto, la loro tensione intermediale si fa cifra espressiva di un immaginario in cui i ricordi personali intessono un'incessante relazione con considerazioni globali, così come disparate sono le fonti che si rincorrono nel discorso di Zille: la festa di Castel Morrone e i riti della fertilità, ma anche l'eros marcusiano, la Land Art e un certo gusto goliardico del fumetto controculturale.