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Questo libro rivela una certa ossessione nel voler guardare le cose, come dire, da un lato inusuale. In fondo le librerie dovrebbero essere soltanto dei ripiani, il dizionario una lista di parole, l'ordine con cui si mettono i libri sugli scaffali qualcosa di normalmente personale, una traduzione giusto il passaggio di un testo da una lingua all'altra e, comunque la si voglia vedere, un poeta che quasi non scrive poesie non lo si dovrebbe considerare tale. A meno che non lo si chieda a chi si ostina nel pensare i libri e la letteratura un inciampo nella solida e noiosa normalità. Ma non bisogna spaventarsi, perché forse l'unico momento in cui l'autore di questo libro è riconoscibile nella sua autorevolezza filosofica, è quando, nel finale, fa l'elogio del tergiversare.