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In "Oltre l'oblio della voce" si pone l'accento su una questione: i versi dei poeti esulano dal vero e proprio flatus vocis dell'uomo, poiché sono immortali. La voce umana è assoggettata alla finitezza di un corpo che cerca di resistere all'ineluttabilità del tempo; da questo presupposto parte la riflessione di Mario Calivà, che rivolge il suo sguardo alla realtà che lo circonda per abbandonarsi all'ispirazione, lasciandosi cogliere e trasportare da essa. Lo spunto da cui partono i versi della raccolta è vario; ci sono espliciti riferimenti alle stelle, alla luna, ai paesaggi del mondo: tutti elementi che non comunicano con una voce ma con la sola presenza collocandosi, così, in un livello prelinguistico. Il poeta diventa dunque unico possibile cantore della realtà, che nella sua complessità non può essere descritta dalla voce dell'uomo comune, ma solo da quella, ispirata ed elevata dalle contingenze, del poeta.