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Ecco un librino alquanto strano. Rappresenta una vita orientata alla conoscenza di sé. Khenebish è un umano che ha vissuto e cercato, l'ha fatto con mitezza e riflessività. Chi osa parlare dello spirito si trova davanti a un abisso, al limite del lecito, in una condizione esistenziale non comune. Il parlarne sembra un fatto assolutamente sconveniente, ed è meglio che una personcina a modo, civile ed educata non ne parli proprio. Lo spirito non si vede, non si ascolta, non si tocca: non può essere conosciuto con i nostri sensi fisici, ma può essere percepito attraverso le sue continue e molteplici manifestazioni. Quando la manifestazione giunge in stretto contatto e si compie l'unione tra lo spirito e il nostro sé interiore, allora l'indescrivibile essenza che è in noi ne avverte in modo concreto l'intimo tocco, ineffabile e indicibile se cerchiamo di esprimerlo con il comune linguaggio. Questo tocco è silenzioso e nascosto, sottile, pudico nella sua delizia. Per essere avvertito, occorre che il cuore sia sgombro da rumori e distrazioni mentre giace in attesa, nella massima concentrazione dell'orecchio della mente che anela, nel silenzio, l'inascoltabile.