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Il cinema moderno è caratterizzato dalla coscienza dell'indiscernibilità di soggetto e oggetto, dell'autoriflessività del linguaggio e del suo carattere evenemenziale. Alla "rottura" del meccanismo di immedesimazione con la macchina da presa corrisponde la produzione filmica di un mondo discontinuo. Questo processo di rottura determina un'operazione critica per cui la realtà non preesiste all'atto che la esprime. La continuità e l'autosufficienza di fatto vengono scardinate. Anche il "metodo" di costruzione storica sotteso agli studi di Warburg ed espresso nelle "Tesi sul concetto di storia" di Benjamin si fonda sulla rottura della continuità. Per entrambi l'incrinatura del continuum cronologico comporta una "dialettica a salti", che ridistribuisca spazi e tempi secondo un'idea di critica discontinuità. Come per il cinema moderno la realtà non preesiste alla rappresentazione, ma si costruisce attraverso ri-concatenamenti e montaggi. A questa complessa dialettica è dedicato il presente saggio, in cui si delinea una inedita figura di cineasta-storico-critico-iconologo in grado di muoversi tra le varie discipline e di "montare" i tempi in una prospettiva "immaginale".