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Questo lavoro affronta, attraverso una minuziosa ricostruzione storiografica, la dimensione etica e giuridica del pensiero di Montaigne. L'analisi si sviluppa da un duplice punto prospettico: quello generale della "giustizia" e delle difficoltà che la concretezza dell'esistenza umana impone al giudice; e quello, più decisivo, della riflessione sul significato stesso del giudizio umano nella dimensione processuale. Ne esce un profilo inedito dell'epistemologia di Montaigne, che appare tanto poco interessata ai principi "primi" della metafisica classica quanto orientata a definire l'esito di una decisione in termini di valutazione intersoggettiva. Nella riflessione del grande saggista, infatti, la coscienza di chi giudica produce non assoluti etici, ma verità giuridiche: una dimensione modernissima, in cui la ricerca dell'equità da parte del giudice si fonde con il ruolo dell'immaginazione e con una quasi kantiana capacità "riflettente" di inquadrare le realtà.