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Come è stato possibile l'Olocausto? Come "spiegare" razionalmente ciò che sembra eccedere ogni misura razionale? Si situa in questo contesto problematico l'incontro di Hannah Arendt con Franz Kafka. Storicamente documentato da una conferenza tenuta nel 1944 a Mount Holykoke, a pochi mesi dalla fine della seconda guerra mondiale, e dalla scoperta della tragedia del genocidio, il rapporto con lo scrittore praghese si rivela essere cruciale nel progetto teorico perseguito da Arendt. Secondo la filosofa, Kafka ha compreso fino in fondo - ed espresso mediante parabole - un assunto che ella aveva condiviso, attraverso un'adesione non solo intellettuale, ma anche psicologica ed emotiva. Aveva individuato nell'uomo, nell'enigma dell'uomo, nell'imperscrutabilità della sua essenza più profonda, negli abissi di quello che è destinato comunque a restare un mistero, l'origine del male, in tutte le sue manifestazioni individuali e sociali. Kafka è "pensatore politico" - come Arendt lo definisce - proprio perché è la guida più affidabile per esplorare gli intrecci che connettono etica e politica, e che ritrovano nell'individuo la radice delle forme politiche.