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"Due protagonisti segnano il percorso significante delle poesie qui raccolte: il tempo e il calcio. Il loro è un rapporto non giocoso, perché ironico; non drammatico, perché le regole del gioco preesistono ad ogni partita; non scontato, in quanto entrambi non solo segnano la vita stessa, ma soprattutto la disegnano. Disegnatore di ogni partita non è il risultato, ma il tempo: il vincere o il perdere sono eventi di passaggio, che si ripropongono nelle prossime occasioni di gioco. Insomma, si ripetono, ritornano: ciò che passa davvero è invece il tempo, che rende vanità somigliante lo stesso grido di chi vince; lo stesso gemito di chi perde. Certo, abbiamo la temporalità del ricordo, che ci fa ritornare in ciò che abbiamo attraversato; esiste pure il tempo della memoria, che ci ridona lo sfondo emozionale e culturale, da dove siamo partiti. Insomma ci accompagna il nostro essere esperienza, con cui traduciamo il nuovo non come se fosse la prima volta, perché in noi lo sforzo del riconoscerci ci fa introdurre l'ora nell'allora, ma questo percorso a boomerang del nostro vivere interiore è comunque una partita persa. Il tempo 'fischia la chiusura': il fischio della prima partita equivale all'ultima partita dell'anno; sembra un unico fischio, con cui si rende vacua la voglia di continuare a giocare. Dopo il fischio c'è la 'messa in pensione' del gioco: puoi continuare sì a rincorrere la palla, ma la rincorsa è senza esito, senza importanza".