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C'è qualcosa di antico e di felicemente inattuale nel modo in cui Leonardo Guzzo costruisce i suoi racconti. Sono storie di immigrati, di nostromi, di nuotatori, di sognatori per indole o per obbligo e di lavoratori del mare: vi si descrivono il vecchio e il nuovo mondo, ma vi trovano posto anche mondi ulteriori, immaginati e trasognati. Vi si raccontano la povertà e il riscatto, le partenze e gli abbandoni e molti viaggi - ora ostinatamente perseguiti, ora, invece, compiuti per costrizione; vi si narra di atlanti che sono libri magici, di dolori che mangiano la felicità e di battaglie d'altri tempi. E tutto sembra ambientato in un tempo sospeso, in un cronotopo mitico e archetipico. Ogni personaggio di questi racconti è circondato dal suo mare personale - che a volte è piccolo e chiuso, mentre altre è largo e spaventoso come l'Atlantico. Addirittura, in un episodio, si sogna "un mare di terre fatte di mare" mentre, altrove, se ne scoprono le radici o se ne rinverdisce l'epica.