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Epitaffi senza cadavere. Esercizi di funambolismo tra umore nero e paradosso. Variazioni sul tema del corpo, pensieri sulla vanità dell'universo. Schegge di racconti, sguardi fantasma in cui l'umanità si rivela al tempo stesso dominio e prigione, grazia ed errore biologico, ma dove solo la materia è predestinata ad essere eterna. E poi voci corrose dalla nebbia, ma compatte come marmo levigato. Figure barocche appena accennate, che prendono vita e forma da una parola concisa e perfetta. Immagini di abbandono smarrito, riverberi di un mondo su cui il dubbio è sospeso. Piccole follie, banalità quotidiane. Lampi di luce che, attraverso un bicchiere di veleno, si proiettano sull'esperienza consegnandosi alla pagina con aristocratico pudore.