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Nella Germania nazista degli anni trenta del Novecento fu all'opera un ceto di intellettuali che fornì le motivazioni razziali ed economiche alla base delle politiche criminali del decennio successivo. Tra loro si contavano colti professori universitari e brillanti tecnocrati, impregnati di un'ideologia eugenista che, teorizzando la necessità di allontanare dalla comunità tedesca il fardello rappresentato da tutte quelle esistenze considerate "zavorra", giungevano ad auspicarne la loro estinzione. Ma ancor prima dell'avvento di Hitler al potere simili discorsi avevano circolato largamente tra l'opinione pubblica. Tra i primi sostenitori della necessità di procedere a eliminazioni programmate di vite umane erano stati, agli inizi degli anni venti, il giurista Karl Binding e lo psichiatra Alfred Hoche. Nell'abiura dei più elementari principi umanitari, questi precursori dello sterminio, che predicavano la soppressione di tutti quei malati giudicati dalla scienza medica inguaribili, affidarono il loro messaggio a un breve testo destinato a fare scuola. Per la prima volta tradotto in italiano, "Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens" viene presentato e commentato da Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti.