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Fedele scultore che concepisce una scrittura poetica che è do-manda incessante, Jorge Boccanera (Argentina, 1952) interroga come un pendolo l'esterno della pagina e l'interno del poema e così facendo scrive il movimento e crea il movimento. In "Monologo del testardo" il poeta disegna l'oscillamento di temi del sempre e del "mai", come il tempo, il viaggio e l'impossibilità, mentre soppesa le cicatrici della parola, le ferite del verbo, gli squilibri della sintassi. Chiudere i versi con una sentenza; inserire una risposta che può trasformarsi in domanda; tenersi e staccarsi, nel mezzo, da una verità, da un tempo che trama, da una voce che dice e si contraddice. La sua poesia batte come un ruggito di ferro, scolorito tra dolore e stranezza. Boccanera in "Monologo del testardo" torna a rivendicare un immaginario particolare fatto di vuoto e di impossibilità, a ritrarre le certezze enigmatiche e i miraggi temporanei, le sue convulsioni poetiche. Perché è in questa scrittura che la parola torna a vedersi riflessa come in uno specchio che "riunisce ciò che il vento disperde". Dall'introduzione di Octavio Pineda.