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Frutto dei soggiorni ungheresi dell'autore, l'opera che qui si presenta (1485), ricca di spunti autobiografici, è la composizione letterariamente più felice di Galeotto Marzio, singolare figura di grammatico curioso di tutte le artes: medicina, filosofia, astrologia, chiromanzia, e altre ancora. Nato a Narni tra il 1423 e il 1428, allievo a Ferrara di Guarino Veronese, Marzio fu attivo tra Padova, Montagnana, Bologna e, in brevi ma intense visite, in Ungheria. Dedicato a Giovanni (János), figlio del re Mattia Corvino, quasi in funzione di speculum principis, e finora mai proposto integralmente al pubblico italiano, lo scritto evoca vivacemente, con qualche punta di malizia anticlericale, trattative diplomatiche, teatri di guerra, tornei, recite di giullari, banchetti reali e dispute erudite. Grande assente (o meglio, appena evocato) il Turco, che preme ai confini.