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Volgendo in scrittura ciò che è pensato elettivamente per una compartecipe trasmissibilità orale, e prescegliendo Artù e il suo mondo, percorso con inappuntabile acribia e filologico rispetto delle fonti, l'autore agisce di straniamento: perché la tradizione qui recuperata, consueta ai pochi appassionati e ai pochissimi cantori di epica popolare restanti, è altra dalla tradizione risultata egemone nella letteratura italiana e perché la materia trattata, mentre è ricca di fatti e di personaggi, è ai più sconosciuta, resa "straniera" dalla posizione di minoranza della narrazione epica nel parlamento delle lettere. Il supporto di conoscenza degli eventi narrati e dei loro attori, una base necessaria alla comunicazione orale dell'epica antica e dei poeti a braccio, deve considerarsi ormai, per il lettore qui ed ora (il lettore reale e, aggiungerei, lo stesso lettore modello), perduta, alienata.