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"Immergersi nella scrittura di Joë Bousquet è la via più sicura per comprendere cosa sia 'fare anima'. La scrittura di Bousquet non è soltanto una 'prosa poetica', non è solo una bella e ammaliante scrittura ricca di evocazioni e di immagini lussureggianti, non è una scampagnata 'estetica'. È una scrittura che si potrebbe definire 'psicopompa', è una discesa nel mondo infero se con esso vogliamo intendere un mondo dove vengono meno le separazioni che il regime diurno della percezione e quello ortogonale della ragione creano. Bousquet ci guida, se ci affidiamo a lui senza il rovello del controllo e del dominio del significato,(...) a incamminarci verso le regioni del non dove in cui finalmente si rivela la tessitura indecidibile della materia vitale, verso una comprensione partecipativa delle cose e di noi in esse. Ma attenzione, occorre essere disponibili a lasciare la presa, a dissolvere l'urgenza della chiarezza e della comprensione, occorre situarsi fluidamente nello scorrimento di un testo che avviluppa, risucchia, annega.(...) Il racconto, scritto nel 1930 circa, non ha trama né articolazione progressiva (...)". (Dall'introduzione di Paolo Mottana)