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Può un uomo mancare, consapevolmente o meno, all'appuntamento con uno dei momenti storici più gravidi di conseguenze per il XXI secolo? È questo il tema che Francesco Ditaranto affida alle matite di Lucrezia Bugané, raccontando una storia vera: le ultime 24 ore di un operaio italiano nella Germania dell'Est prima della caduta del muro di Berlino. Un crollo, materiale e metaforico con cui a 25 anni di distanza facciamo ancora i conti. La sua vita sarebbe stata lì, a Berlino Est. Almeno per un po'. Era arrivato da un mese e, in realtà, non ci si trovava male. Attilio, 32 anni, metalmeccanico bolognese, è un delegato Fiom in trasferta nella Repubblica Democratica Tedesca per conto della Weber, per allestire, insieme ad altri operai italiani, una fabbrica di carburatori da applicare ai vecchi motori Trabant, le famigerate "auto del popolo tedesco dell'Est" che bruciavano olio producendo il tipico fumo azzurrino che copriva come una nebbia le strade di Berlino Est. È la mattina dell'9 novembre 1989, mancano pochi minuti all'inizio delle ultime 8 ore in fabbrica prima di tornare a Bologna per una breve visita. Nei bagagli sono pronti dei colbacchi che ha comprato per i genitori. Soprattutto per suo padre, uno che al socialismo reale ci credeva ed era orgoglioso che suo figlio lavorasse nella RDT. Questo pensava mentre guardava la strada dalla sua finestra al 7° piano di un complesso di 3 grandi palazzoni grigi in perfetto stile sovietico...