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L'inattualità di cui questo libro intende fare l'elogio rimanda a quella distanza necessaria che, come sosteneva Nietzsche nelle sue "Considerazioni inattuali", serve a non rimanere intrappolati nel proprio presente. È in questo scarto, in questa profonda inadeguatezza, che l'antropologia culturale trova il suo territorio elettivo. Lungi dall'essere quegli "esperti dell'immediatezza" che il paradigma contemporaneista vorrebbe imporre, gli antropologi possono offrire i loro contributi più preziosi solo grazie a uno sguardo che si attarda su quegli "altrove" in cui l'antropologia si è da sempre aggirata. Non si tratta di un esotismo inconcludente. L'autore è persino disposto ad accettare l'appellativo di "anima bella", purché ci si renda conto che non si tratta di una fuga, ma dell'esigenza di frequentare quegli altrove per meglio mettere a fuoco le peculiarità del nostro tempo. Continuando pervicacemente a esplorare l'inattualità, gli antropologi saranno in grado di garantire la sopravvivenza culturale delle forme di umanità che la storia ha distrutto e nel contempo di garantire la dignità, l'autonomia, la significatività del proprio sapere.