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Il giovanissimo Zúñiga è la voce di quella generazione di cileni che della dittatura conosce solo versioni ufficiali o racconti frammentari. Il regime di Pinochet finì nel 1990 con il passaggio pilotato verso la democrazia e i delitti commessi restarono impuniti. Una parte della popolazione rimasta nel paese decise di voltarsi dall'altra parte e di andare avanti. Così fa la famiglia del giovane protagonista del romanzo. Una famiglia complicata: madre e padre divorziati, che non si parlano, forse a causa della morte di uno zio; un trasferimento a Santiago, improvviso come una fuga; una cugina scomparsa nel nulla; il nonno riparato nel suo fanatismo per i Testimoni di Geova; la nuova e ostile famiglia del padre. Nessuno sembra disposto a ricordare dove inizi tanta sofferenza. Con una dolcezza asciutta e poetica, il ragazzo prova a capire cosa è successo: prima intervistando quasi per gioco la madre, poi nei ritagli di conversazione con il padre, durante i lunghi spostamenti in macchina attraverso il paese. Ne viene fuori un'allegoria essenziale del Cile, costruita dentro un deserto emotivo, fra miraggi e fantasmi, su cui cala la camanchaca, la fitta nebbia del deserto di Atacama.