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Gli "anni della crisi" hanno prodotto (forse era inevitabile) un affastellarsi di provvedimenti incoerenti, mal congegnati, spesso inapplicabili e comunque inapplicati. La riforma della governance territoriale si è così aggrovigliata, paralizzata da spinte e controspinte, con risultati, nella pratica, molto modesti. Vale per la prima decisione legislativa circa l'obbligatorietà della gestione associata delle funzioni dei Comuni minori (con il decreto legge n. 78/2010), per i successivi "aggiustamenti" del 2011 (decreti legge nn. 98 e 138), per il tanto celebrato decreto "salva Italia" (n. 201/2011), per la stessa spending review del 2012 (decreto legge n. 95/2012), e per il decreto legge che alla fine di quello stesso anno avrebbe voluto impostare il riordino territoriale delle province (n. 188, mai convertito in legge). Poi, però, è giunta la c.d. "legge Delrio" (n. 56/2014) che ha proposto la semplificazione dei livelli di governo territoriale, affidando la scommessa della ripresa ai Comuni, perché, con tutti i loro limiti, sono le istituzioni più efficienti, immediata e "viva".