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Niente di nuovo sotto il riflettore. O quasi. A quindici anni di distanza dalla prima edizione di questo libro, i luoghi comuni - che mi divertivo a parodiare - su come si mettevano in scena i classici delle varie epoche resistono ancora tutti, si potrebbe persino prenderlo come un segno confortante in un'epoca in cui tutto cambia da un telegiornale all'altro, che ci ha abituato a un certo distacco ormai di fronte ai Grandi Mutamenti Storici. Un altro luogo comune vorrebbe il teatro come specchio dei tempi. Se è così, le nostre scene sono una sorta di specchio un po' appannato che rimanda sempre le stesse immagini; ci rassicura che almeno per un certo teatro italiano, il tempo si è fermato. È ovvio, ci sono autori che sono un po' passati di moda, come Brecht e insieme a lui il teatro dichiaratamente politico, momentaneamente esautorati (ma nel teatro, come nella moda, tutto torna) da altri vezzi, il quotidianese dei minimalisti che al messaggio politico hanno sostituito messaggi più brevi e meno impegnativi, da segreteria telefonica. Se si dovesse aggiungere a queste dodici un'altra Cenerentola potrebbe essere una riscritta in chiave minimalista, alla Mamet per intenderci, che erutta parolacce e vuole farsi sposare da un principe azzurro yuppie di Wall street. Intanto gli antichi vizi di regia e di recitazione persistono: ad essi se ne sono solo aggiunti altri, i nuovi birignao.