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Dire Francesco Guccini è come dire Giuseppe Garibaldi per l'Unità d'Italia: un archetipo, un "padre della patria", un luogo dello spirito, un filosofo con la chitarra, un punto di riferimento inalienabile per la canzone d'autore italiana e la canzone tout court. I suoi dischi si collocano a metà strada tra la memoria di una nazione e le madeleines generazionali. Chi può dire di intendersi di musica e disconoscere album come Radici, Amerigo, Via Paolo Fabbri 43, Signora Bovary? O canzoni feticcio (canzoni fluviali, enfie, verbose) che hanno segnato la colonna sonora di un'epoca (diverse epoche): Aushwitz, Dio è morto, L'avvelenata, Eskimo, Canzone di notte, Vedi cara, La locomotiva, Bologna, Autogrill. Dici Francesco Guccini e dici magistero dell'arte del comporre e di cantare, c'è poco da scherzare e anche da aggiungere. Quarant'anni suonati di piazze, praticate-subite-celebrate (compresa la genovese piazza Alimonda), rivoluzioni mancate d'un soffio, frasi celebri, ballate & avvelenate, bevute su bevute, cazzeggi, frati, America, Paperino, Roland Barthes, storie ignobili quante ne vuoi, e pure diverse stanze di vita quotidiana tra la via Emilia e il West.