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Il romanzo come enigma. L'aveva tramato così, D'Arrigo. Gli enigmi della vicenda narrata, l'enigma del testo, della scrittura, per lui. Quesito di vita e di morte, "Horcynus Orca" è il racconto di un impossibile 'nostos'. A ogni passo il reduce 'Ndrja Cambrìa tesse e ritesse il suo viaggio, senza avvicinarsi mai a quel suo lido sempre lontano. Il ritorno, come le parole, è senza conclusione, acconchigliato nella morte; nella propria trama, o finzione. La struttura orcinusa, il suo sistema formale, si realizza attraverso successioni iterativo-ricorsive. La figurazione di mente è la forma, o condizione - il carattere di turbolenza proprio della voce-memoria che figura gli eventi -, in cui verrà pronunciata e 'oreocchiata' la parola barca; è la legge di sistema per cui infine il corpo fonico della parola si materializzerà in corpo fisico, che la morte stessa, come l'acqua con i corpi naufraghi nello scill'e cariddi, inciderà, scavandola, sbrancandola, sdillabbrandola, trasformandola in bara e poi in arca. Barca-bara-arca: le tre parolette formano, come per un'inversione paradossale del processo, il nucleo generativo del libro, il suo primario impianto linguistico-narrativo, sebbene sviluppato come un'escrescenza, o focolaio della metastasi testuale: come fosse l'organismo stesso del romanzo, animalone marino e mostruoso, a produrla in sé, quell'escrescenza, dalla sua piaga in cancrena.