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Nel settembre 2002, un anno dopo l'attentato alle Torri gemelle e l'invasione statunitense dell'Afganistan, un paramedico dell'esercito americano viene catturato dai ribelli afgani durante una ricognizione e rinchiuso in manicomio in mezzo a un deserto con un'altra dozzina di prigionieri. Dato per disperso, viene dimenticato anche dai suoi avversari. Malati, prigionieri e carcerieri vivono giorno per giorno il degrado del luogo, la fame, la disperazione e la follia. E mentre affrontano i loro singoli destini, la guerra fa da sfondo alla vicenda e alla singolare situazione del narratore: il "vincitore" trasformato in vittima, con un'ambivalenza che è metafora di tutto ciò che l'Afganistan simboleggia. Con un finale inaspettato l'autrice spiega che in questa guerra non ci sono vincitori, ma solo un Paese devastato e coloro che riescono a sopravvivere alla pazzia. La vicenda è raccontata in prima persona dal protagonista che mescola fatti di cronaca reali a riflessioni, ricordi, sogni e deliri. Senza indulgenze nel descrivere, talvolta con un linguaggio crudo ma efficace, gli orrori e le atrocità di un conflitto insensato.