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I progetti geniali per essere memorabili devono essere folli, eccessivi, e questa storia di fantascienza eccede il genere, diventa una forma di esperienza, confina con l'ossessione. Fantascienza è un termine riduttivo che non riesce più a descrivere un immaginario che tracima dalla plausibilità. Sì, perché la fantascienza classica, quella che ha posto le basi del genere, ha sempre avuto il problema della credibilità, e si preoccupava di mantenere visibili, ben tracciati, i confini di una sospensione dell'incredulità che faceva i conti con la plausibilità delle invenzioni, tecniche e narrative, delle ipotesi scientifiche messe in gioco dal racconto. Dentro il marchingegno tutto doveva funzionare con precisione perché il lettore potesse abbandonarsi al flusso narrativo. Roberto Bonadimani parte da questi presupposti e con "Incubo Hynn-Phaer" li scardina, porta in campo qualcosa che con la sua forza assillante, asfissiante, morbosa, spaventa e lascia interdetti. Siamo al vertice oscuro di un percorso artistico.