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La magia si compie quando, alzati per la prima volta gli occhi al cielo, il nostro sguardo è attratto da una miriade di punti luminosi che il primo, modesto telescopio rivela in tutto il loro splendore. Nonostante le limitate prestazioni dello strumento, osservando quelle schegge di luce sembra davvero di aver toccato il cielo con un dito. Se poi con il tempo l'interesse resta e la curiosità cresce si decide di catturare la luce di quei punti luminosi passando dall'osservazione alla fotografia, con l'intento dì fissare sul sensore la delicata struttura di una nebulosa, il debolissimo bagliore di lontanissimi ammassi di galassie oppure le intricate volute di polvere della Via Lattea. Finalmente l'oggetto solo osservato, o al più disegnato, si dorrebbe mostrare in tutto il suo splendore rivelando anche delicate sfumature di colore. Catturato, una volta per tutte. Così crede, almeno, colui che per la prima volta si accinge a scattare una fotografia astronomica. Troppo tardi ci si accorge che i problemi sono appena cominciati: errori nello stazionamento polare, messa a fuoco imprecisa, eccessivo inquinamento luminoso, guida fotografica errabonda. Sembra che tutto cospiri a complicare le notti serene: se era una guerra l'osservazione visuale è ugualmente una guerra l'astrofotografia. Cambiano solo gli strumenti con cui la si combatte. Eppure non ci si arrende mai; ci si informa, si continua, si insiste fino a che i primi risultati non arrivano.