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La gestione biopolitica della metropoli come spazio della produzione e del governo è diventato un problema cruciale per il capitalismo contemporaneo, così come per i soggetti che l'attraversano. A partire da questa acquisizione, l'intento di questo volume è di esplorare alcune rappresentazioni letterarie di spazialità (da Luigi Pirandello a Italo Calvino, da Cesare Pavese a Dacia Maraini, da Enrico Palandri a Nanni Balestrini e Mohsen Melliti) in cui invece prendono voce e visibilità, attraverso l'uso di quella che Deleuze e Guattari hanno definito una linguaggio "minore", una molteplicità di forme ed esperienze in grado di deterritorializzare la razionalità repressiva e omologante della metropoli del capitalismo globale e di immaginare luoghi possibili, altri, dove nuove comunità a venire e diverse culture possano condividere uno spazio comune, proprio perché, per dirla con Calvino, "la città ideale è quella su cui aleggia un pulviscolo di scrittura che non si sedimenta né si calcifica".