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Se la poesia scaturisce nell'incontro, allora proprio qui si attiva il dramma ideologico e simbolico, la sconfitta storica: nelle vite dolorose, degradate, alienate dei migranti, lacerate dalla nostalgia, il poeta ritrova il suo destino di esule occidentale. In una sorta di solidarietà epica, i suoi versi trasfigurano l'altro, lo narrano, lo raccontano, mentre la catastrofica riattualizzazione di quella deflagrazione che fu il dopoguerra si consuma periodicamente nei riti politici della pace. In condizione di esilio simbolico la poesia è resistenza, impegno e tensione alla trasformazione. Una poesia emergenziale, antilirica, tesa al salvataggio del mondo in condizioni d'imminente catastrofe, che s'impegna attivamente in un'interazione con il mondo, manipolandone, oltre che la crudezza della lingua e della musica, la materia umana e culturale. Il poeta qui interpreta un patire collettivo la cui sostanza non è metafisica, bensì storica, occidentale. La sua voce rifugge dal monologo e si ravviva quando racconta un uomo, perché ogni esistenza individuale è paradigmatica della condizione dell'uomo occidentale, ma è anche irriducibile, irripetibile, assoluta.