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"Alenu 'e radichinas", così pervaso dal respiro di una totalità umana e poetica, sembra scritto oggi, e invece quasi quindici anni ci separano dalla stesura di questi canti in lingua nuorese che, scandendo il fluire del tempo, danno voce a sentimenti e valori che stenterebbero a trovare espressione compiuta nella lingua dotta nazionale. Il nuorese di Lucia Pinna, prima di essere un repertorio di termini variamente combinati, è un mondo folto e brulicante di grazia, di passioni e di sacralità. Lucia Pinna ha resistito a lungo all'assedio affettuoso e premuroso di parenti e amici che, presi dall'incanto di quella "brage viva" tenuta a lungo sotto la cenere, ne sollecitavano la pubblicazione: ha ceduto solo quando ha avuto il sopravvento la sua natura generosa che la porta ad aprirsi agli altri con lucidissimo affetto. Resta la vaghezza poetica di quella "ritenzione" o sospensione del tempo, in cui sembra consumarsi la sofferenza dell'autrice per il distacco dalle sue "spighe diventate pane".