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Alla sua ottava raccolta di poesie, Bencivenga s'inoltra per strade inconsuete. I suoi versi affrontano temi metafisici, come già in passato, ma lo fanno raccolti nel più classico metro della tradizione italiana: il sonetto. Il rigore della struttura, tuttavia, non diventa rigidità; al contrario, si apre a una dizione ludica, allegra, impertinente. Così quel che viene comunicato non è solo la maestosa ricchezza dell'essere, il suo supremo decoro, il suo insolubile mistero; è anche, e soprattutto, la sua gioia, la paradossale spensieratezza di un pensiero che ne è insieme l'espressione e la più intima realtà.