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Poche donne nella storia ebbero la possibilità di distinguersi nelle discipline scientifiche, considerate appannaggio maschile. La più nota, nella tarda antichità, fu senza dubbio Ipazia, scienziata e filosofa, nata ad Alessandria d'Egitto nel 370 d.C., inventrice di strumenti come il planisfero e l'astrolabio. Figlia del matematico Teone, e lei stessa primo matematico donna della storia, fu la più nota esponente alessandrina della scuola neoplatonica, circondata dal rispetto di allievi giunti da ogni angolo del mondo. La fama di Ipazia suscitò l'odio del vescovo Cirillo al punto da fargli tramare la sua uccisione, avvenuta nel 415. Aggredita da un gruppo di monaci fanatici, fu trascinata in una chiesa e uccisa a colpi di conchiglie affilate. Mentre ancora respirava, le cavarono gli occhi come punizione per aver osato studiare il cielo. Dopo averla fatta a pezzi cancellarono ogni traccia di lei bruciandola. Protagonista di una pagina poco nota della storia - raccontata anche nel film "Agorà" di Alejandro Amenàbar - Ipazia è oggi considerata la prima martire pagana del fanatismo cristiano. In questo romanzo l'autrice ricostruisce la vicenda umana della filosofa, con i suoi affetti, la sua sete di conoscenza e il suo bisogno di amore: una donna la cui volontà non diede mai segno di piegarsi a ciò che il destino e la sua epoca le avevano riservato. Prefazione di Eva Cantarella.