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Questa storia ha inizio durante un'estate, quindici agosto precisamente, quando Giampietro e Daniela attendono che spiova ma ogni giorno ormai da un bel pezzo regala freddo e umidità. La loro azienda è chiusa per ferie, loro invece sono rinchiusi in casa. Cercano passatempi, che - guarda caso - ruotano sempre attorno al lavoro. "Sai che ti dico?", se ne esce Daniela controllando il tempo uggioso al di là delle finestre, "vorrei impreziosire i nostri gioielli. Qualcosa che possa competere con l'oro a cui si unirà. Pensavo alla seta". "Perché no?", ribatte Giampietro, sempre disponibile a accarezzare le sfide. Apre il computer sul tavolo della cucina e comincia a cercare. "Senza tentare nuove strade non andremmo da nessuna parte", questa la sua filosofia. "Ma c'è la materia prima in Italia, per noi malati di made in Italy?", si fa la domanda e (poco dopo: dopo essersi documentato) si dà la risposta. La filiera della seta non esiste più. Da cinquant'anni per la precisione. Si consuma però tanta seta qui, tremila tonnellate ogni anno importate dalla Cina. E se ci rimettessimo a produrla noi?