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Tre. Il numero che scegliamo sempre, istintivamente, perfetto senza esserlo. Tre i chiaroscuri sfumanti in questa silloge, con il coraggio dei colori lasciati sull'asfalto, da un'artista che tratteggia la sacralità del profano trattenendo sulle dita la polvere dei passanti, delineati con rispetto, in una fame d'aria costante. L'altro come specchio ed è nella solidità della sabbia che ceselliamo la sagoma delle bugie che sostengono la nostra fiamma; ma può una fiamma stare a galla? Sì, perché i poeti mentono, mentono sempre. Sul pelo dell'acqua come fosse il filo del rasoio e ogni parola taglia la carta in un riprodursi concentrico, dal centro della pancia oltre il bordo della nostra comfort zone. L'Io lettore sfoglia queste pagine e attraversa lo specchio dell'autrice, pronto a smarrirsi in luoghi consueti di bianco e lavoro antico, in famiglie immobili nello stillicidio di un amore che tiene il posto ai figli su sedie di paglia e tra abbracci discreti come tralci. Luoghi consueti percepiti come l'eco di un giovane corpo che assorbe l'afa svelando la realtà dell'inverno, facendone tavola apparecchiata, divano vuoto.