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Alla morte di Dario Bellezza fecero calca le assordanti voci sulla tragica via crucis che fu la sua malattia. Il fantasma dell'AIDS che volteggiava fluente e rapido dalle bocche dei troppo zelanti giornalisti a quelle di coloro che fecero del poeta romano il simbolo di una generazione dai nuovi connotati sociali prese il sopravvento sulla sua produzione poetica e sul senso che essa ebbe all'interno del panorama letterario italiano. Ciò che nelle sue poesie egli riuscì a trattare con delicatezza (a volte violentata dal suo stesso verso), forte della mistica realtà inconscia che traspariva ad ogni vibrante e provocatoria parola, la società dello scandalo riuscì a banalizzarlo visceralmente. Ma era anche questo Bellezza: lo scandalo, l'esibizione che faceva distogliere lo sguardo disgustato della borghesia benpensante, che si faceva maschera sociale mischiata alla realtà scomoda e dura di un mondo che implodeva sulla sua mancanza di senso, sulla sua insita e profonda crisi d'esistenza.