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La teoria della pena come prevenzione generale positiva discende da un processo di riformulazione dogmatica attraverso il quale Jakobs pone in discussione parte del pensiero penale dei Lumi nella linea che conduce da Grozio a Feuerbach. Il bersaglio delle critiche diviene, in tal senso, il duplice lato utilitarista e psicologista che, in virtù proprio delle elaborazioni degli illuministi, definisce il concetto di pena. Rispetto a quest'ultima, quindi, si tenta di disegnarne una immagine nuova, come "marginalizzazione del fatto nel suo significato lesivo", ovvero come comunicazione positiva di senso rispetto a quella (negativa) del reato che contraddice la norma. Gli aspetti legati alla retribuzione materiale dell'illecito, come quelli della riparazione della vittima o dell'emenda del reo, o ancora della prevenzione intimidatoria, non vengono assolutamente presi in considerazione ma anzi contestati nella formazione dell'impianto penologico. Dal punto di vista dei presupposti filosofici, la teoria jakobsiana si richiama, dunque, al sistema di Hegel che nei Lineamenti definisce la pena esclusivamente come "negazione della negazione". Dalle ripresa delle riflessioni hegeliane si giunge al modello del Feindstrafrecht: laddove la pena opera generalmente come tutela della vigenza della norma (prevenzione generale positiva) può, al contrario, in determinati casi, porre al sicuro da fonti di pericolo (prevenzione speciale negativa). Da qui, in conclusione, la legittimazione del c.d. diritto penale del nemico che agirebbe in funzione di profilassi per il sistema (sociale e giuridico).