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La poesia, per me, è della stessa sostanza del pianto e della preghiera: è la voce dell'individuo che scopre e si misura con i limiti invalicabili, con tutte le impossibilità della condizione umana. È l'espressione inconfutabile e originaria della creatura che si esperisce, senza vie di fuga, senza più nulla che lo veli, nella sua tremenda verità: fragile, sola, soccombente. In questi momenti estremi in cui l'umano si realizza nella propria vera essenza di finitezza, nel silenzio che schiaccia, non c'è più spazio per il superfluo, per il quotidiano: tutto si contrae nell'essenziale. La poesia, come il pianto e la preghiera, non si rivolge a interlocutori umani né si propone scopi da raggiungere, ma è un radunare e far salire alla superficie il lamento incontenibile, immediato, infondato e radicale dell'essere umano di fronte al dolore e alla morte.