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Sentire in ogni essere la potenza di piacere e di dolore. Vivere le barriere e le distinzioni tra i "corpi" ("animati" o "inanimati") come facili ma folli costruzioni umane. Scrivere come se tutto, nell'universo mondo, si dotasse di parola (altra e alta) che al poeta sia dato ascoltare e fare ascoltare. Questi i presupposti (esistenziali e letterari) che sostengono questi cinquanta "petits poèmes en prose" di Daniele Gorret qui (e altrove, nei suoi libri) impegnato in una implicita ma radicale critica dell'antropocentrismo, gigantesco ostacolo sulla strada di Bellezza Giustizia e Verità. Inevitabilmente allora, a nume tutelare di questa scrittura, sarà fatto il nome di Giacomo Leopardi evocato fin dall'ironica citazione iniziale, più volte presente nei versi che irrompono nel testo in prosa, teurgicamente richiamato in vita nell'ultimo faccia a faccia con il personaggio di Anselmo, dall'indole così simile a quella di tutti gli antieroi del suo autore.