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I processi di esteriorizzazione cui siamo soggetti oggi hanno la forma di un richiamo irresistibile. Qualcosa pretende sempre la nostra attenzione, interrompendone la continuità e deviandola incessantemente su richiami ogni volta diversi. Il risultato è un perenne essere fuori di sé. Ma che esistenza è quella dove il mondo interno proprio di ognuno di noi risulta risucchiato in modo così insistente dal mondo esterno, quasi a farne l'unica preoccupazione della vita? È una esistenza in cui l'esperienza di sé collassa in una esteriorizzazione che aggiorna ulteriormente, dopo Feuerbach e Marx, il concetto hegeliano dell'estraniazione: manchiamo l'appuntamento con noi stessi. Le lezioni per un riequilibrio tra interiorità e esteriorità non mancano certo, e alcune di queste grandi lezioni (Socrate, Goethe, Dostoevskij, Buber, Proust, il pianismo di Glenn Gould) sono qui convocate molto liberamente per cercare di definire un sentimento dell'interiorità capace di proteggere l'io dalla normatività del mondo e di proteggere il mondo dal narcisismo dell'io.