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Pubblicati postumi nel 1668 da Thomas Sprat, biografo ed esecutore letterario dell'autore, gli undici Saggi di Abraham Cowley (1618-1667) rappresentano il testamento spirituale di uno scrittore che è stato uno dei poeti più amati del suo tempo, reso celebre dai suoi versi amorosi e dalle sue odi pindariche, e che, prima di ritirarsi a vita privata nella contea del Surrey, aveva conosciuto i fasti della corte inglese in esilio in Francia, lavorando al servizio di Enrichetta Maria di Borbone nell'ambito della diplomazia segreta e confrontandosi con alcuni degli intellettuali più influenti della sua epoca, dal filosofo Thomas Hobbes allo scrittore e diarista John Evelyn. Cowley non fu solo poeta di transizione tra i "poeti metafisici" (espressione coniata da Samuel Johnson proprio nella sua biografia di Cowley) e i poeti dell'età augustea, ma fu anche autore di una raccolta di saggi che segna un ideale confine cronologico tra la tradizione saggistica inglese inaugurata dall'opera di Bacone e quel nascente gusto neoclassico che avrebbe ispirato sia i saggi di critica letteraria di John Dryden sia gli articoli dei periodici di Joseph Addison e Richard Steele. Gli argomenti trattati da Cowley vanno dalla solitudine alla vanitas, dalla botanica alla pedagogia, un contrappunto di voci che si sviluppa intorno al tema principale dell'opera, quello di una natura le cui intime forze e i cui principi sfuggenti il letterato-filosofo ha il compito di indagare, un tema che riecheggia nelle prose e nelle poesie presentate in una Appendice che fa da cassa di risonanza alle riflessioni contenute nei saggi (in particolar modo nella Proposta per la fondazione della Royal Society di Londra e nelle due odi pindariche) e che aiuta a fare luce sul pensiero e sulla complessa personalità del loro autore.