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Calato nella propria epoca, il contemporaneo si considera l'apice del progresso e del processo evolutivo. La sua civiltà, culmine della vicenda umana, domina incontrastata, superiore a tutte quelle che l'hanno preceduta. Ma entrambi, l'uomo e la sua civiltà, sono in realtà prigionieri di un'illusione da cui solo la storia, se svincolata dalla banalità causa-effetto ed elevata a metafisica, può farli riaffiorare. Come ogni altro composto alla deriva nel divenire, le civiltà ne subiscono le leggi cicliche; nascono e crescono, maturano, invecchiano e muoiono. Ma ciascun ciclo è incastonato a sua volta in un ciclo maggiore con un proprio svolgimento, il cui stadio individua la vera natura delle civiltà. E così, accanto alle civiltà che furono dell'infanzia e della giovinezza, dell'età adulta e della vecchiaia, la metafisica della storia scorge ora civiltà agonizzanti, defunte o già in decomposizione. Habent sua fata libelli, anche i testi hanno il loro destino: non è un caso che questo libro catacombale veda la luce all'indomani di una catastrofe; proprio come il Tramonto spengleriano, evocato già dalle corrispondenze del titolo. Cosa ne sarà dunque della civiltà occidentale euroamericana, chiamata a chiudere il ciclo dei cicli? Destinata a trasfigurarsi nell'imminente città mondiale, essa accoglie nel suo seno morente le carcasse e i relitti delle civiltà che furono. Ma sintomi e simboli la condannano all'ineluttabile disfacimento. Eppure, colui che si trova a vivervi è un privilegiato, perché è in grado di contemplare lo spegnimento della civiltà. Ora la fine della Storia rende possibile il tentativo di una storia minima del mondo. Nel calare della notte mondiale, il metafisico della storia sembra chiamato a intonare requiem e lamenti funebri. E invece potrà mostrare agli uomini del proprio tempo che, come nelle antiche tragedie, quando il finale è già noto si può assistere alla recita senza scomporsi.