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Questo libro, a differenza dei precedenti, non ha una prefazione, perché questa è l'ultima avventura di Leo Blasi; tutte le storie, che siano più o meno esaltanti o più o meno coinvolgenti, hanno un inizio e una fine. Il personaggio letterario Leo Blasi è nato cinque anni fa: per me, che non avevo mai scritto gialli, doveva essere un esperimento e avere la durata di una meteora. In realtà poi, voi amici lettori lo avete adottato. Qualcuno lo ha amato alla follia, qualcun altro l'ha odiato, ma ogni volta che ho dichiarato che il romanzo in corso sarebbe stato l'ultimo, voi mi avete sommerso di mail, dicendomi che "Misery non doveva morire". E così Leo Blasi si è trasformato, per cinque romanzi, da meteora a personaggio costante del nostro piccolo universo letterario. Grazie a voi, alla fine ho amato anch'io questo mio scorbutico avatar letterario, gli ho camminato accanto per quattro anni e, in conclusione, non so bene se gli ultimi romanzi li abbia scritti lui o io. In questa sua ultima avventura, Leo cerca di uscire dalla sindrome di Peter Pan e comincia a fare i conti con sé stesso, con l'età, con i suoi errori e con le occasioni mancate. È un Blasi finalmente maturo, ma mai rassegnato. Il killer che si troverà ad affrontare è il più feroce e difficile da comprendere tra tutti quelli con cui ha avuto a che fare nella sua carriera. La lunga caccia, che fino alla fine sembra avere l'odore di una sconfitta, lo costringerà a rivedere i rapporti con le persone che ama e che, loro malgrado, si troveranno al centro di una guerra psicologica spietata e senza esclusione di colpi. Io e Leo ci dividiamo qui.