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I poeti, per loro dono o mancanza, si pongono come legislatori dell'esistenza, rifondatori e reiventori del mondo. Ma del mondo della mente e dell'anima, del desiderio instancabile e della infinita promessa. Non sognano, ma tessono un sogno: di parole che si pensano, di musiche che si allacciano anche nella discordanza. E conducono a un'inquietudine che genera domande, che apre strade e cunicoli fin dentro il caos e il mistero. Sanno i poeti come le loro voci si sperdono nella disattenzione e nel rumore, pure seguitano per un bisogno ebbro e dimentico. Federica Mormando insegue da lunghi anni la poesia, la cerca come l'approdo a una nuova salute. L'accoglie in versi veloci, spogli di metafore accerchianti, di sonorità flautate. Come chi sa quanto sia ingannevole il conforto, come sia una rocca indifendibile l'illusione. Questo libro, smilzo e agile, parte da un inizio che è forza e debolezza insieme, libertà e costrizione, e vi conosce e riconosce un destino, che pure è una difficile e consapevole scelta. Prima, come per una fondazione, l'io s'investe di quel sé che lo rende vigile e vivo anche nella dispersione e nel dolore. Quindi si muove dentro un patto di onestà e di lacerazione e chiede di intendere contro il male dominante, di muoversi in un tempo in cui "nessuno è vincitore". E subito la memoria rinnova orrori e rovine, subito sovrasta la disperazione per il succedersi ininterrotto di guerre e di eccidi. Poi, come per un ripiegarsi della psiche verso la propria giornata, accade una pacificazione, che non è certo resa né dimenticanza, piuttosto un appressarsi a quel che proprio il patto di esistere e di intendere rende caro e necessario.