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«Uomo di quieta apparenza, ma con un fuoco silenzioso dentro come una cava di zolfo che bruci e barbagli», così Carlo Betocchi descriveva l'amico e sodale Luigi Fallacara, nato a Bari nel 1890 ma trasferitosi a Firenze all'età di ventidue anni e da allora indissolubilmente legato alle sorti della poesia novecentesca italiana che trovarono nel capoluogo toscano un luogo d'elezione e terreno quanto mai fertile di sviluppo. Poeta non tra i più celebri del nostro Novecento, Fallacara seppe tuttavia attraversare e interpretare, guidato da un imperativo etico-religioso personalissimo, le diverse spinte rinnovatrici che animarono la prima metà del secolo. Ricostruire il suo percorso poetico, che si snoda tra gli anni '10 e i primi anni '60, significa allora ripercorrere le tappe fondamentali della stessa poesia italiana primonovecentesca, a partire dagli esordi avanguardistici, passando per le esperienze di poesia pura, di marca soprattutto ungarettiana, fino alla contiguità con le assolutizzazioni sintattico-semantiche ermetiche, cui seguì una fase di ripiegamento e ripensamento durante la quale tuttavia il poeta non abdicò all'affiato creativo che gli fruttò la produzione, tra il '52 e il '62, di altre cinque raccolte, più due antologie, dopo i sei volumi, più un'altra silloge antologica, che avevano scandito la prima stagione degli anni '25-'41.