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«Qual è l'essenza della donna? Per secoli, la storia occidentale e la tradizione filosofica (tutta al maschile) hanno identificato la donna con la capacità di generare e con la disposizione a prendersi cura dell'altro. Vincolata alla natura, funzionaria della specie, la donna è stata esclusa per un lungo periodo dall'ordine della cultura e dallo spazio della politica. Le è stata preclusa la possibilità di esprimere se stessa come "soggetto". Un "soggetto" che, posto al centro del pensiero occidentale in modo apparentemente neutro, è sempre stato declinato al maschile (androcentrismo) ed è diventato il modello attraverso cui misurare e giudicare il femminile. Un "soggetto" basato sulla razionalità, sul controllo delle passioni e sull'autosufficienza. Inevitabile, date le premesse, la considerazione del femminile come di una diversità difettosa, inadeguata e, per questo, bisognosa di protezione, di controllo e di guida. Altrettanto inevitabile l'assenza delle donne (a parte poche eccezioni) nella storia e nella cultura. Solo attraverso un processo di emancipazione durato secoli, le donne hanno preso pienamente coscienza della propria condizione storica e hanno rivendicato il diritto a esprimersi e ad agire come persone autonome in tutti gli ambiti, privati e pubblici. La lotta per la conquista di diritti e di pari opportunità (in campo politico, nella formazione scolastica, nell'accesso al lavoro e alla progressione di carriera), è stata condotta mettendo in evidenza gli aspetti di uguaglianza con gli uomini e ponendo in ombra le differenze. Era inevitabile, dal momento che proprio le differenze erano state la causa della secolare sottomissione femminile. Ma, differenza non significa inferiorità. Implica, invece, la necessità di ripensare l'essenza umana non più sulla base di una soggettività neutra (e in realtà modellata sul maschile), ma sulla base di due soggettività in rapporti di diversità/uguaglianza (...)» (dalla prefazione)