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"Se c'è una poesia che si insinua segreta e labirintica e si fa profondo incrocio di enigmi e di vasti pensieri, non c'è dubbio sia quella di Jean Portante. Il suo corpo a corpo con la parola è uno scavo turbinoso, è una tensione continua verso l'origine. Un percorso, quello di Portante, che si inoltra sui grandi temi dell'esserci e del vivere, delle radici e dello sradicamento, delle piaghe del mondo e della memoria. Negli infiniti intrecci arteriosi di questo libro, vi sono i lati più intimi della sua esistenza, con la voce della madre che diviene uno struggente inno d'amore e si affacciano le sostanze di un giusto tempo, con l'immagine della fatica atavica dei propri avi, alcuni dei quali addirittura spentisi nei bui tunnel invasi dalla morte. Una scrittura che pare incunearsi, pur nell'inerpicarsi in rupi e botri, ansie e scalate, in sentimenti, amori, memorie, fiato familiare, strutturata in una lingua che brilla di metafore e di analogie, di punti sospesi e di aforismi, di anafore e di inversione dei soggetti, di piraterie linguistiche e neologismi arrischiati dall'orecchio del poeta in un territorio spinato. Una poesia mai diretta, nel senso di un tratto che graffia per via del suo colpire, ma indiretta per via dell'uso linguistico più sospeso che si possa immaginare, ma che si fa spigoloso anfratto che salta agli occhi. Infine dolce litania aggrovigliata, musicale adagio, che diviene fondante pensiero, perché in linea con la vita del poeta, che ha nel rispetto dei popoli e delle etnie, della difesa della libertà, e della tutela del diverso, un tratto peculiare della sua esistenza." (dalla prefazione di Loretto Rafanelli)