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Un cane che scuote la coscienza di un intero borgo, un teppistello che rimane fedele a una propria "patria interiore", una zingara che mente per tenere in piedi il fantasma di una speranza, un albero che fa conoscenza con l'umano grazie al vino, lo scemo del villaggio che, come Sisifo, porta sulle spalle un peso enorme, un sole che spalanca il suo occhio imperturbabile su tutto: sono solo alcuni dei molteplici personaggi di queste undici novelle. Nodar Dumbadze intreccia un tessuto narrativo che raffigura la piccola realtà della Georgia sovietica, soprattutto della sua regione occidentale, Guria, come un tappeto orientale: l'ordito è il senso universale di una vita fatta del buio delle cadute e della luce delle ascese, mentre la trama è un reticolo di fili sgargianti dei topoi della cultura georgiana, il tutto venato di humor e ricoperto di una patina arcaica. Le composizioni che ne vengono fuori smuovono l'asse del pregiudizio umano riguardo al dato, all'acquisito, al consolidato, come soltanto la buona letteratura sa fare.