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"Donne come fate, ma fate ingorde che, dopo millenni di silenzi costretti, rivelano la loro "ingordigia", ossia le loro vere attese, i loro riposti pensieri. Spingono e rendono necessario ogni componimento una volontà e un bisogno di far chiaro, che portano alla causticità, fin quasi all'asprezza. Ne deriva che il corpo femminile, troppo a lungo cacciato nel peccaminoso o sollevato alla santità, è sentito e visto e riconosciuto nelle sue voglie, nei suoi umori. Senza smettere di appartenere alla grazia e alla leggerezza. Come per costruire una dignità sempre negata. Superare il rancore e la rabbia, pretendere un nuovo modo di esistere, sostituire agli artigli, necessari per combattere, ali di farfalla. La scrittura come ritrovamento di un sé amabile e contento. L'amore, la sensualità goduta, anche sofferta. E, dopo la liberazione, lo scioglimento; e i piaceri e le sofferenze di chi ama e nell'amore attende, pretende, si delude, s'affanna e chiede ancora." (dalla prefazione di Elio Pecora)